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Celiachia senza sacrifici!



Glutine: un problema non solo per i celiaci
di Giuliana Lomazzi


Sono sempre di più le persone che eliminano o riducono drasticamente il glutine dalla propria dieta. I celiaci sono solo la punta dell'iceberg: vediamo perché.


Pane, pasta, torte, biscotti, grissini, pizza: cosa sarebbero tutti questi amati prodotti senza il glutine? La domanda non è scontata, visto che questo complesso di proteine presente in alcuni cereali come grano, farro, kamut, avena (1), segale e orzo, causa non pochi problemi all'intestino dei soggetti intolleranti. La reazione più grave è la celiachia, una malattia genetica che ha una sola, drastica cura: l'eliminazione totale e definitiva dell'imputato dalla dieta.
L'intolleranza al glutine tuttavia può presentarsi anche in altre forme, meno evidenti. Da qualche anno si parla di gluten sensitivity, su cui ha acceso i riflettori uno studio americano guidato da ricercatori italiani(2). “Le mucose intestinali in questi pazienti sono nella norma e non mostrano i danni tipici della celiachia, anche se l’intestino è infiammato” sintetizza Alessio Fasano, direttore del Centro di ricerca celiachia dell'Università del Maryland e coautore dello studio.
Chi è affetto da gluten sensitivity soffre di dolori addominali, emicrania, depressione, scarsa lucidità. Sintomi più lievi, insomma, che richiedono una diagnosi adeguata ma non per forza l'esclusione a vita dei prodotti contenenti glutine. A essere tirato in causa peraltro non è solo il glutine in sé, bensì anche il grano che lo contiene. “Queste reazioni anomale dipendono da prodotti dove la percentuale di glutine è stata aumentata artificialmente. Il nostro organismo non si è evoluto abbastanza per riuscire a gestire queste sostanze” continua Fasano.


Frumenti Frankenstein
Oggi abbiamo a che fare in gran parte con grani iperconcimati, che contengono una quota di glutine superiore del 12% rispetto al passato” denuncia Ciro Vestita, docente della Scuola superiore sant’Anna di Pisa. “Non solo: in queste frazioni di glutine esistono componenti tossiche, che rendono la vita difficile ai soggetti borderline per la celiachia”.
Tutto è iniziato negli anni '70 con l'alterazione genetica del grano, operata tramite raggi gamma del cobalto radioattivo. Questa operazione ha dato vita al creso, un grano nanizzato utile per ridurre i costi della filiera e padre di generazioni di frumenti ancora più ricchi di glutine. Molti specialisti, come il professor Luciano Pecchiai, attribuiscono l'aumento di casi di celiachia proprio a queste alterazioni. Come se non bastasse, il glutine causa anche difficoltà digestive, come le tanto diffuse dispepsie.
Date queste premesse, risulta evidente che oggi proteggersi dagli eccessi di glutine è indispensabile per tutti.


Una dieta gluten free
Per i celiaci naturalmente gli unici cereali ammessi sono quelli privi di glutine, cioè riso, miglio, quinoa, amaranto, grano saraceno e mais. È indispensabile non vedere queste granaglie come un odioso ripiego, poiché si tratta di prodotti di qualità, ognuno con un sapore distinto e proprietà nutrizionali interessanti. Amaranto e quinoa, per esempio, sono molto ricchi di proteine di pregio; il miglio contiene acido silicico, che rafforza unghie e capelli; il saraceno è ben digeribile e protegge i capillari; il riso è, tra le altre cose, un antinfiammatorio intestinale; il mais giallo contiene provitamina A, quello nero e quello violetto molti antiossidanti.
Sono tutti cereali versatili e spesso, come nel caso di amaranto, saraceno, quinoa e miglio, rapidi da cucinare. L'importante è sceglierli (ove applicabile) integrali e, per questo, di origine biologica, poiché i pesticidi si concentrano sullo strato esterno del chicco.
Non va dimenticato che, proprio come quello delle persone non allergiche al glutine, l'intestino dei celiaci ha bisogno di fibre. Queste ultime assicurano la regolarità intestinale, sono capaci di tenere a bada colesterolo e glicemia e prevenire il diabete.
Purtroppo, però, alla maggior parte dei celiaci risulta difficile rinunciare ai cibi cui era abituato. E l'industria alimentare non è stata a guardare.


Un paniere costoso
Le aziende hanno risposto con un ampio assortimento di cibi come pane, pizza, pasta, biscotti, merendine e molti altri prodotti in versione gluten-free. L'Associazione italiana celiachia si è domandata a quanto ammonti il giro d'affari del mercato alimentare per celiaci. La risposta? Un paniere di 12 prodotti contenente pasta, pane, farina, preparati per pizza, biscotti, merendine e piatti pronti surgelati, si aggira intorno ai 40-60 euro, mentre l'equivalente di prodotti normali ammonta a 25. Non mancano altri esempi eloquenti: 4 euro per 150 g di cracker, 16 euro per 1 kg di lasagne, quasi 10 euro per una scatola di bucatini e così via. In totale, si calcola che i 122.000 italiani celiaci spendano annualmente 200 milioni di euro per la loro alimentazione.
Il più delle volte, poi, i prodotti specifici per celiaci non brillano per qualità. Si tratta in gran parte di alimenti privi di vitalità, ricchi di zuccheri raffinati che aumentano i problemi digestivi e le fermentazioni; contengono spesso farine raffinate, additivi e derivati del latte, che i celiaci digeriscono difficilmente per via dei loro villi intestinali deteriorati dalla malattia. A questo si aggiunge che non sono quasi mai garantiti ogm-free.


Saper scegliere e... cucinare
Come sfuggire a tutte queste insidie? La lettura delle etichette è di primaria importanza. Ci sono prodotti in apparenza adeguati, come la salsa di soia, certi yogurt o formaggi freschi, le crocchette vegetariane o alcuni dessert al cucchiaio, che possono contenere amidi o glutine.
La scelta migliore, più sana ed economica, sta nell'acquistare prodotti di base, cioè i cereali senza glutine di cui abbiamo parlato, sotto forma di chicco o farine, e nel trasformarli in piatti squisiti e appetitosi. Difficile? No, bastano un po' di creatività e fantasia. Per partire con il piede giusto, però, ci sono anche ottimi ricettari, come quello firmato dal cuoco Antonio Zucco che fa da appendice al libro Celiachia senza sacrifici, scritto da Luisa Ferrari e pubblicato da Terra Nuova Edizioni.


Info - Capire la celiachia
In alcuni individui il glutine innesca reazioni immunitarie che danneggiano le cellule intestinali, causando gonfiori e dolori. Attaccato ripetutamente, il tessuto intestinale si deteriora fino a perdere i villi, ovvero le escrescenze che trattengono i nutrienti. Da qui parte il deperimento organico.
Con il passare degli anni la reazione immunitaria può portare a malattie autoimmuni gravi e a tumori, perciò è bene arrivare in tempi rapidi a una diagnosi certa e adottare subito una dieta priva di glutine.


Info - Meno glutine: una buona pratica per tutti
Non soffrire di celiachia non è un buon motivo per eccedere con il glutine. Oltre ad alternare tutti i tipi di cereali, è bene dare la preferenza ai grani di varietà antiche, che non hanno subito le modificazioni genetiche del creso e derivati. Senza risalire molto indietro nel tempo, basta già propendere per un Senatore Cappelli, nato poco meno di un centinaio di anni fa ma selezionato in modo naturale e con tenore di glutine ancora contenuto. Ben digeribili sono anche il farro e il kamut. Tra i cereali con un contenuto minore di glutine abbiamo poi l'orzo e la segale. Tra l'altro il primo, proprio come l'avena, ha delle fibre ottimali per l'intestino. Insomma, variare è la parola d'ordine!




(1) Alcuni studi condotti in Scandinavia ritengono l'avena adatta per il 99,4% dei celiaci, sempre che non sia contaminata durante la lavorazione. Tuttavia in Italia questo cereale non è ritenuto idoneo.

 


(2) Sapone A., Lammers K. M., Casolaro V. et al, “Divergence of gut permeability and mucosal immune gene expression in two gluten-associated conditions: celiac disease and gluten sensitivity”, BMC Med, 2011; 9: 23.
Uno studio successivo ha poi confermato questi risultati: Biesiekierski Jr, Newnham E., Irving P. et al, “Gluten causes gastrointestinal symptoms in subjects without celiac disease: a double-blind randomized placebo-controlled trial”, Am J Gastroenterol, marzo 2011;106(3):508-14