Considerando che il termine “cereale” non è né botanico né scientifico bensì merceologico e letterario, andiamo a conoscere quelli che troviamo definiti come “pseudo cereali” ossia quei chicchi commestibili che nonostante non appartengano alla famiglia delle graminacee, sono comunque utilizzati in maniera molto simile ai cereali tradizionali.
Le tre piante che andremo a scoprire producono chicchi preziosi da un punto di vista nutrizionale che sono naturalmente privi di glutine, ecco perché riscoperte con piacere anche nelle ricette di chi segue una dieta in cui il glutine va escluso.
L’AMARANTO è una pianta originaria del centro America, ne esistono circa sessanta specie ma quelle commestibili sono tre: Amaranthus caudatus, Amaranthus cruentus e Amaranthus hypochondriacus.
Si ipotizza che ne esistesse una varietà già conosciuta dai Greci, tanto che nei racconti mitologici, si narra che le dee greche la usassero come ghirlande ornamentali. Esopo le dedicò una delle sue favole a sfondo morale, “La rosa e l’amaranto”.
Le antiche popolazioni originarie delle terre che oggi corrispondono al Messico, ancor prima dei Maya e degli Aztechi, oltre alle tradizionali coltivazioni di fagioli, peperoni, peperoncini, semi di chia, e il conosciutissimo mais, coltivavano e consumavano abbondantemente anche la pianta di amaranto, come viene confermato da recenti studi archeologici. Se ne consumavamo le foglie, simili agli spinaci, ma principalmente i chicchi. Gli Aztechi lo definirono “il grano degli Dei” anche per l’utilizzo che ne facevano durante i riti religiosi: lo impastavano con farina di mais e poi ne facevano delle figure celebrative prima di mangiarle dopo il rito propiziatorio. Con l’amaranto si preparava una bevanda molto nutriente dolcificata con miele, l’Atole di amaranto.
Il suo utilizzo era sovrapposto e complementare al mais. Era fondamentale nella povera dieta di coloro che spesso vivevano in zone montuose e aride. Se pensiamo in termini di valore in proteine vegetali, fibre e sali minerali comprendiamo l’importanza che aveva questa pianta nella dieta quotidiana di queste popolazioni. Ma con l’arrivo dei conquistadores, agli inizi del sedicesimo secolo, la sua coltivazione si arrestò bruscamente per la forzata introduzione di cereali europei.
La sua diffusione in Europa avvenne come pianta ornamentale per i suoi fiori di un bel rosso brillante; in Africa dall’800 venne coltivato come ortaggio e in Asia come cereale, ma non raggiunse mai l’importanza che ebbe nei paesi d’origine. La riscoperta del seme è avvenuta intorno alla metà degli anni settanta e, attualmente, è coltivato e commercializzato in Messico, Sud America, Stati Uniti, Cina, Polonia ed Austria.
Fra le sue caratteristiche nutrizionali anche la facile digeribilità è apprezzatissima. Si cuoce in acqua in proporzione 1: 2,5 in 30/40 minuti ed è possibile impiegarlo per la preparazione di crocchette, piccoli timballi, saltato con verdure.
La QUINOA (Chenopodium quinoa Willd.) è una pianta erbacea annuale, con semi rotondi, simili al miglio, dai quali per macinazione si può ottenere una farina. Si distingue da altri cereali per l’alto contenuto proteico ed proprio per questo che costituisce l’alimento “cardine” della dieta delle popolazioni andine. Viene coltivata da 5000 anni in altitudini anche di 4000 metri.
Gli Inca la veneravano come pianta sacra chiamandola “madre di tutti i semi”. All’epoca della conquista spagnola come accadde per l’amaranto, il conflitto con la cultura cattolica ne scoraggiò la coltivazione e ne arrestò l’utilizzo; solo in un secondo tempo, quando fu evidente il miglior adattamento della quinoa all’ambiente andino nei confronti del grano, la sua coltivazione riprese piede.
Uno dei fattori che ne impedisce la coltivazione in ambienti come quello europeo sono le condizioni climatiche: le temperature troppo elevate o l’elevata umidità non permettono a questa pianta di crescere e svilupparsi. Bolivia, Ecuador e Perù ne sono attualmente i maggior esportatori.
Il 2013 è stato dedicato dalla FAO come Anno della Quinoa proprio per incentivare la diffusione di questa antichissima e importantissima pianta anche fuori dal Sudamerica, poterne sfruttare le caratteristiche e farla diventare l’alimento del domani.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura ne sta promuovendo la coltivazione nei Paesi in via di sviluppo riconoscendola come un prezioso contributo nel combattere la fame nel mondo. La quinoa contiene tutti i 9 aminoacidi essenziali, oltre ad un giusto apporto di carboidrati e proteine, queste ultime in quantità superiori rispetto a cereali quali frumento, miglio e riso.
Il suo utilizzo in cucina è assai versatile, ma necessita di risciacquo prima dell’uso per la rimozione di un gruppo si sostanze dette “saponine” che altrimenti le conferiscono un sapore amaro. La quinoa può essere cotta e condita a piacere, viene utilizzata per moltissime ricette salate e per la preparazione di biscotti e creme dolci.
ll GRANO SARACENO (Fagopyrum esculentum) è una specie di piante erbacea a fiore, chiamato anche “grano nero”. Ha origini molto antiche, la sua coltivazione inizia in Siberia nella zona della Manciuria e della Cina proseguendo poi in Giappone, India e in Turchia; grazie agli scambi commerciali attraverso il Mar Nero arriva in Italia nel XV secolo.
Il grano saraceno è un alimento decisamente sottovalutato che viene usato principalmente in alcuni paesi del nord Europa.
In Italia è comunque molto utilizzato nella cucina tradizionale: rientra infatti in molte ricette di montagna come la “polenta taragna”, i “pizzoccheri valtellinesi” e gli “sciatt”, tipici dolci della Valtellina. Viene comunemente associato ai cereali ma le sue caratteristiche molto particolari lo avvicinano anche ai legumi: infatti oltre che composto da carboidrati, presenta un contenuto di proteine interessante ed è una preziosa fonte di fibre che arriva fino al 10%. Notevole il suo contenuto di minerali come calcio, fosforo, potassio, magnesio, e ferro e l’apporto di alcune vitamine del gruppo B così come di vitamina E.
Gli aminoacidi essenziali che costituiscono le sue proteine sono numerosi: arginina, cistina, glicina, isoleucina, lisina, metionina, per citarne alcune.
Il grano saraceno come gli altri cereali si può cuocere in acqua e condire “tipo risotto”, ma è con la farina che si può dar libero sfogo alla fantasia: crepes e dolci, pane e grissini, fino ad arrivare a pasta e polenta.
Proprio sul grano saraceno abbiamo avviato un progetto sperimentale di ricerca e sviluppo con la Fondazione per la Ricerca e l’Innovazione dell’Università di Firenze e la città Metropolitana di Firenze, e il Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università di Firenze, sullo studio delle abitudini alimentari correlate ad alcune patologie.
L’obiettivo del progetto è quello di indagare se un’alimentazione a base di prodotti derivati dal grano saraceno biologico sia in grado di determinare benefici clinici rilevanti in soggetti affetti da patologie quali sindrome dell’intestino irritabile e gluten sensitivity.
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